Come riconoscere la solitudine emotiva e distinguerla dall’isolamento
Ci sono momenti in cui la casa è piena di persone, i messaggi arrivano, gli inviti non mancano… ma ci si sente comunque soli. Altre volte, si passa molto tempo in solitudine e, anziché soffrirne, ci si sente più lucidi, più centrati.
Questo perché la solitudine non coincide con l’isolamento fisico, ma con un’esperienza interiore: quella di non sentirsi davvero in connessione. Con nessuno, a volte nemmeno con sé stessi.
E quando la solitudine diventa cronica, non cercata, ma subita, può diventare una prigione silenziosa:
- si perde il desiderio di condividere;
- si iniziano a evitare relazioni per non “disturbare”;
- si avverte un senso di vuoto, di invisibilità;
- oppure si cercano compulsivamente presenze pur di non restare soli.
La solitudine dolorosa non ha a che fare con la quantità di relazioni, ma con la qualità della nostra capacità di contatto, di scambio, di presenza.
Se senti che la tua solitudine non è più uno spazio che nutre, ma un vuoto che pesa, questo articolo potrebbe aiutarti a vedere le cose in un’altra prospettiva.
Errori comuni nella gestione della solitudine e soluzioni disfunzionali
Uno degli errori più comuni nel rapporto con la solitudine è cercare di riempirla, anestetizzarla o scacciarla. Ma ciò che facciamo per non sentire la solitudine è spesso proprio ciò che la mantiene viva.
Nell’approccio breve strategico, chi soffre una solitudine problematica mette in atto tentate soluzioni disfunzionali. Si tratta di strategie che nel breve alleviano il disagio, ma nel lungo lo alimentano.
Vediamone alcune.
Cercare relazioni “a qualsiasi costo”
Pur di non restare soli, si mantengono relazioni insoddisfacenti, squilibrate, o addirittura dannose. Ma più si è con qualcuno che non ci fa sentire visti, più ci si sente soli. È una solitudine amplificata dalla compagnia sbagliata.
Iperconnettersi per evitare il silenzio
Scroll infiniti sui social, chat compulsive, mille gruppi, mille stimoli. Ma più si cerca compagnia online per anestetizzare il vuoto, più si costruisce una relazione superficiale col mondo e con sé stessi.
Evitare il contatto autentico
Per paura di essere rifiutati, si indossano maschere, si compiace, si parla solo di ciò che è sicuro. Così, anche tra gli altri, non si è mai davvero se stessi. E la solitudine interiore cresce.
Rifugiarsi nella solitudine come difesa
Alcuni, feriti in passato, imparano a stare da soli come forma di protezione radicale. Non si aspettano più nulla da nessuno. Ma questa armatura, seppur inizialmente rassicurante, diventa presto una gabbia emotiva.
Superare la solitudine con la terapia breve strategica
Uno dei presupposti della terapia breve strategica è che non si può cambiare ciò che non si è disposti ad attraversare.
Ecco perché, in questo approccio, non si lavora per “eliminare la solitudine”, ma per trasformare la relazione che hai con essa.
Quando questo accade, non solo la solitudine smette di far male, ma diventa uno spazio fertile per ritrovare direzione, autenticità, desiderio. E paradossalmente, è proprio da lì che si ricominciano a costruire relazioni vere.
Bibliografia
- Nardone, G. (2020). La solitudine. Capirla e gestirla per non sentirsi soli. TEA Libri.
- Nardone, G., Balbi, E., & Vallarino, A. (2017). Psicoterapia breve a lungo termine. Trattare con successo anche le psicopatologie maggiori. Ponte alle Grazie.